venerdì 1 maggio 2009

Metodologie di cura nell'epilessia degli anziani

di Stefano Centonze 
Apparso in Anno 2 - N. 7 del 15-09-2011 della Rivista Mensile Telematica di Arti Terapie e Neuroscienze On Line



L’epilessia, una tra le patologie più diffuse al mondo e in continua crescita, non fa distinzioni: anziani, bambini, uomini, donne appartenenti a tutte le etnie sono esposti a questa patologia. Il termine epilessia deriva dal greco “epilepsis” che significa attacco e sta ad indicare una modalità di reazione del Sistema Nervoso Centrale a diversi stimoli. Generalmente, l’epilessia è caratterizzata da convulsioni e perdita di coscienza.
Le crisi epilettiche sono provocate da un’iperattività delle cellule nervose cerebrali (i neuroni), evidenziabile con l’elettroencefalogramma, seguita da un periodo di completa inattività. Paradossalmente si verifica infatti un’eccessiva attività funzionale del sistema nervoso per cui, alcuni o tutti i neuroni della corteccia cerebrale cominciano ad attivarsi a un ritmo di molto superiore a quello normale, producendo una scarica.
Secondo i dati raccolti da M. Elisabetta Calabrese, nell’articolo Epilessia e Anziani comparso nell’edizione 2008 di “Assistenza Anziani”, la UCB, azienda biofarmaceutica internazionale, impegnata nella cura di patologie gravi come epilessia, sclerosi multipla, malattia di Parkinson, stima che in Italia circa 500 mila persone soffrono di epilessia e 50 milioni nel mondo, con 25 mila nuovi casi ogni anno. Le statistiche rivelano che le epilessie si collocano al terzo posto, per incidenza, dopo le patologie cardio-vascolari e quelle con deficit intellettivo e sensoriale.
Maria Paola Canevini, professoressa di Neurologia all’Università degli Studi-Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano, dichiara che l’epilessia può manifestarsi in qualunque periodo della vita e che un italiano su cento ne è affetto. Questo ci fa capire quanto questa malattia sia incombente.

L’epilessia comporta una spesa considerevole per il cittadino europeo. Notevole è l’impatto che questa patologia esercita sull’economia europea. Secondo M. Elisabetta Calabrese, l’Europa, nel 2004, ha speso, complessivamente, circa 15,5 miliardi di euro; la perdita di produttività del paziente ha inciso notevolmente sull’economia europea per un valore di 8,6 miliardi di euro; costi sanitari diretti dell’epilessia ammonterebbero a 2,8 miliardi di euro, mentre la spesa relativa ai farmaci antiepilettici avrebbe un impatto minore sul bilancio dell’economia e ammonterebbe a 400 milioni di euro. La spesa per ogni paziente epilettico varierebbe insomma tra i 2000 e gli 11.500 euro l’anno.
Negli anziani ricordiamo che l’epilessia può essere la conseguenza di disturbi cerebrali, per lo più circolatori (ischemie o emorragie). I dati raccolti in  Epilessia e Anziani rivelano che le crisi epilettiche sono una frequente conseguenza dell’ictus, con un’incidenza stimata tra l’8,9 % e l’11% e che gli accidenti cerebrovascolari sono all’origine del 30 % delle crisi epilettiche di prima diagnosi nei pazienti con età superiore ai 60 anni. La cura più appropriata per queste crisi, negli anziani, secondo il dottor Antonio Siniscalchi, consisterebbe nel mantenimento di un normale stile di vita del paziente attraverso una remissione completa delle crisi, con o senza minimi effetti collaterali. La scelta del farmaco epilettico deve rispettare le caratteristiche cliniche delle crisi stesse e del paziente. In questi ultimi decenni sono stati sperimentati nuovi farmaci antiepilettici che tengono conto, in misura maggiore, della compatibilità con l’organismo del paziente anziano. Questi farmaci antiepilettici hanno un impatto minore sul metabolismo epatico e alcuni di essi possono essere facilmente eliminati per via renale.
Secondo quanto riporta M. Elisabetta Calabrese, la ricerca oggi si pone come obiettivi quelli di : chiarire e contrastare i meccanismi alla base della resistenza ai farmaci antiepilettici, sviluppare nuovi farmaci potenzialmente più efficaci e con minori effetti collaterali e individuare trattamenti innovativi non farmacologici. Una buona sensibilizzazione del mondo scientifico intorno ai nuovi progressi terapeutici  sull’epilessia è indispensabile per contenere i disturbi derivanti da questa patologia. La ricerca ha conseguito risultati sorprendenti nella cura dell’epilessia, basti pensare  che oggi il 70 % dei malati epilettici, come si evince dalla lettura dell’articolo Epilessia e Anziani, è curato con farmaci che permettono un controllo completo della crisi e un ritorno alla vita normale; inoltre emerge che venti anni fa si avevano a disposizione pochissimi farmaci a fronte dei 15 presenti oggi.
E’ sorprendente l’attenzione che ha manifestato la comunità scientifica, in questi ultimi anni, nei confronti di questa patologia, al fine di aiutare chi ne soffre a ritrovare una migliore qualità di vita. Un esempio è dato dall’importante contributo arrivato dagli incentivi forniti dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti per lo sviluppo di nuove terapie contro le forme più serie di epilessia.
La cosa che spaventa maggiormente, secondo il prof. Luigi Maria Specchio, Professore di Neurologia all’Università degli Studi di Foggia, è, soprattutto, l’imprevedibilità delle crisi e l’incapacità di poterne controllare il sopraggiungere.

L’obiettivo delle cure antiepilettiche non è solo quello di impedire l’insorgere delle crisi, ma di influenzare il meno possibile la normale vita dei pazienti e di avere un impatto minimo sull’organismo del malato. A tal fine ci si sta attrezzando, con l’ausilio di particolari test, che saranno in grado di indicare quale rischio il paziente corre e a quali effetti collaterali è esposto, nel momento in cui gli viene somministrato il farmaco. Oggi siamo avvantaggiati, poi, dalla presenza di strumenti terapeutici efficaci con un più ampio spessore di tollerabilità e soprattutto, come ricorda M. Elisabetta Calabrese, con assenza di interazioni con i farmaci che il paziente assume (ci riferiamo in particolar modo ai pazienti appartenenti alla fascia della Terza Età).
I farmaci antiepilettici, presenti oggi sul mercato, rappresentano una risorsa efficace per la cura delle crisi epilettiche: si riscontra che nel 70% dei casi hanno trattato tale malattia con successo. Inoltre, è importante sapere che dopo circa 2-5 anni di trattamento è possibile sospendere l’assunzione del farmaco, sotto stretto controllo medico, e, nella maggior parte dei casi, le crisi non si ripresentano più. Questi farmaci hanno tutti come funzione quella di limitare l’attività elettrica delle cellule nervose. Ci sono antiepilettici che bloccano i canali che permettono al sodio di entrare nei neuroni, passaggio che determina la trasmissione del segnale nervoso, altri agiscono potenziando l’effetto di una molecola detta acido gamma-ammino-butirrico (GABA), il più importante inibitore naturale dell’attività elettrica del cervello. Altri ancora, invece, riducono l’azione del glutammato, una molecola con un importante effetto eccitatorio per le cellule cerebrali. La scelta del farmaco deve considerare il tipo di crisi e la sindrome epilettica, la durata della terapia e i possibili effetti collaterali, sempre in ossequio alla situazione di ogni singolo paziente.
Bisogna fare una distinzione tra antiepilettici di prima generazione e antiepilettici di seconda generazione: i primi possono essere di complicata gestione, in alcuni pazienti, in quanto di difficile tollerabilità per l’organismo; talvolta questi farmaci inducono il paziente a interrompere il trattamento e, in alcuni casi, non sono abbastanza efficaci da consentire al paziente di controllare le crisi. Gli antiepilettici di seconda generazione, invece, introdotti in commercio nel 1993, mostrano un’efficacia simile a quella dei farmaci tradizionali, con un più alto profilo di tollerabilità.
Quando la sindrome epilettica non può essere adeguatamente controllata dalla terapia medica si interviene chirurgicamente. L’intervento mira a rimuovere la parte di corteccia cerebrale nella quale ha sede il focolaio epilettogeno, ad esclusione dei casi in cui ci si trovi a dover contrastare una epilessia generalizzata, nella quale è coinvolta tutta la corteccia. Questo tipo di operazione chirurgica è limitata, ovviamente, solo a quei pazienti che non riescono a rispondere ai farmaci. Le percentuali di successo sono elevate, ma si tratta di un’operazione molto delicata, per cui prima di operare è necessario individuare con la massima precisione l’area da eliminare e verificare che non siano coinvolte aree fondamentali per il controllo delle normali attività e delle funzioni cognitive.
Si parla di farmacoresistenza, pertanto, quando con l’uso di due o tre farmaci specifici, alla dose massima tollerata e per un tempo adeguato, non si ottiene il completo controllo delle crisi. La stimolazione del nervo vago, introdotta nel 1997, rappresenta una tecnica innovativa che può essere praticata nelle forme di epilessia farmaco resistente, in cui non è indicato alcun trattamento chirurgico di resezione. Il sistema di stimolazione del nervo vago è composto da un elettrocatetere, posizionato nella porzione del nervo che decorre nella parte inferiore del collo, connesso ad un generatore di impulsi (pace-maker), posto al di sotto della clavicola. Gli impulsi ritmici inviati dal generatore al nervo hanno l’effetto di modulare l’attività elettrica del cervello, riducendo il rischio di crisi epilettiche. I risultati riportati in letteratura dimostrano una riduzione media delle crisi del 55%, e tale percentuale tende ad aumentare nei 12-24 mesi successivi, all’attivazione dell’impianto di stimolazione.
In ultima analisi è stato riscontrato che un particolare tipo di dieta, la dieta chetogena, può ridurre notevolmente la frequenza delle crisi nei pazienti con epilessia intrattabili con i farmaci. E’ noto da molto tempo che la frequenza delle crisi epilettiche diminuisce in condizioni di digiuno, ebbene la dieta chetogenica, un particolare regime nutrizionale contenente una elevata percentuale di grassi e una ridotta quota di carboidrati, è in grado di indurre uno stato di chetosi simulante le condizioni metaboliche di digiuno. Essa  è stata utilizzata nella terapia dell’epilessia a partire dagli anni ’20 e successivamente abbandonata, a seguito dell’avvento di nuovi e sofisticati farmaci antiepilettici. Tuttavia la dieta è stata rivalutata come trattamento coadiuvante dell’epilessia, specialmente negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, in quei pazienti epilettici farmaco-resistenti o intolleranti ai gravosi effetti collaterali dei farmaci in questione.

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